209

È sotto gli occhi di tutti, ma in pochi lo conoscono. Regala sicura fatica ma altrettanta soddisfazione. Costringe ad abbassare la testa per non smarrire la flebile traccia, ma quando ci si ferma e si alza lo sguardo, regala panorami di rara bellezza. Non è solo un sentiero, è una metafora.

Ammetto l’ignoranza: fino a pochi anni fa la mia conoscenza del territorio valborberino era assai scarsa. Poi, a trentotto anni suonati, è esplosa la passione per il trail running, la corsa in montagna, e la valle è diventata la mia palestra e la mia stanza dei giochi.
Non posso dire di averla esplorata tutta. Il territorio dell’alta val Borbera si estende per circa ventimila ettari, in gran parte disabitati e a tratti inaccessibili. Il patrimonio sentieristico che custodisce è talmente vasto che ne risulta impossibile una quantificazione precisa.
La varietà di ambienti che si possono incontrare in valle è stupefacente. Si va dalla collina coltivata ai boschi di castagno, dai pascoli che ricordano l’alta montagna alpina alla magia delle selve dai faggi secolari. La suggestione dei paesi abbandonati, la ricchezza di acqua che anima ruscelli e cascate, il lungo canyon delle Strette di Pertuso con i suoi strapiombi mozzafiato.
Difficile fare una classifica delle bellezze della valle. Impossibile individuare, su tutti, un sentiero che la rappresenti.
Uno dei primi sentieri che ho avuto modo di esplorare grazie alla mia nuova passione per la corsa in montagna, è tuttavia il perfetto emblema di questo territorio ricco di contrasti. Si tratta di uno dei percorsi più corti, ma allo stesso tempo è forse quello con il più alto livello di difficoltà. È sotto gli occhi di tutti, ma in pochi lo conoscono. Regala sicura fatica ma altrettanta soddisfazione. Costringe ad abbassare la testa per non smarrire la flebile traccia, ma quando ci si ferma e si alza lo sguardo, regala panorami di rara bellezza.
Sto parlando del sentiero che dalle Strette di Pertuso si inerpica lungo la frastagliata linea di cresta della Costa Camisola. Quello che, per gli amanti dei numeri, è identificato con il segnavia 209 del Club Alpino Italiano.
L’”attacco” del sentiero non è facilmente individuabile. Recentemente sono stati riverniciati i segnavia sulla roccia, ma non è egualmente banale da individuare anche se, per assurdo, il sentiero inizia proprio sulla strada provinciale, poco prima di Pertuso. Ci si inoltra per qualche metro in un canalino scavato nella roccia dal tempo e dalle piogge. Si sale subito a sinistra ed in poche decine di metri si raggiunge la linea del crinale, su cui il sentiero si dipana fino alla fine. In basso il crinale è ampio, e per non perdere la traccia e ritrovarsi su qualche strapiombo è utile seguire gli ometti di cui il sentiero è disseminato.
Il carattere burbero di questo sentiero si fa subito sentire. La pendenza è notevole e costante. Non ti molla un attimo. Ogni passo deve essere ben calibrato, tra rocce smosse e brevi tratti dove si intravede una sorta di traccia impressa nella la poca erba presente. L’attenzione è tutta rivolta al sentiero.
Salendo, qualche tratto di roccia nuda costringe ad abbassarsi per trovare se non un appiglio, un appoggio. In estate, salendo dopo il tramonto mentre la brezza sale dal fiume a dare ristoro, toccando la roccia si percepisce tutto il calore che ha immagazzinato nella giornata. È una sensazione piacevole. Come se la montagna ti dicesse: ecco, non dimenticare che tutto esiste, che tu stesso esisti, grazie al calore di quella palla di fuoco piantata nel cielo.
Raggiunta una certa quota, si incontrano le prime trincee. Sono avvallamenti naturali della roccia, scavati ulteriormente dalla mano dell’uomo, nei quali i partigiani si appostavano durante la guerra di liberazione. Basta voltar lo sguardo verso la bassa valle per intuire quanto quelle postazioni fossero strategiche. Da lassù si controlla un lungo tratto della strada provinciale, che serpeggia un centinaio di metri più in basso. Si ha soprattutto una visuale perfetta sul ponte del Carmine, il famoso “ponte rotto” fatto saltare dai partigiani durante la guerra di liberazione.
Proseguendo nel cammino ci si rende conto di quanto la costa Camisola, salendo, si stringa sempre più, costringendo il sentiero ad adattarsi alla sua forma. I passaggi si fanno sempre più obbligati e stetti. In alcuni tratti, la sensazione è quella di procedere sulla lama di un coltello. Voltando lo sguardo a destra e sinistra si percepisce tutta la verticalità di strapiombi mozzafiato.
Su questo sentiero, ogni stagione regala sensazioni nuove. Che meraviglia quando si sale il sentiero in una giornata nebbiosa. Per scoprire una volta in cima che sopra il grigio, sopra il sudario che ricopre la valle, il cielo è ancora blu e il sole scalda l’anima. Affacciati sulla valle ricoperta dalle nuvole, i nostri monti sembrano un gruppo di comari intente a spettegolare davanti al lavatoio colmo di schiuma candida.
Il profumo del timo, che ricopre quasi completamente i versanti rocciosi delle nostre montagne, è una costante tutto l’anno. Ma durante la fioritura è a dir poco inebriante.
Giunti in cima al sentiero non ci si può negare una pausa seduti in mezzo al timo carico di fiorellini azzurri. Qui non arrivano i suoni prodotti dall’umanità. La strada è poche centinaia di metri sotto di noi ma si è altrove, in un altro mondo. Le auto si distinguono bene, piccole da sembrare modellini: circolano come su una pista giocattolo, sospinte da una energia invisibile senza che alcun rumore giunga alle orecchie. Se ci si mette in ascolto si può udire il ronzio delle api che banchettano sui fiorellini del timo. Chiudendo gli occhi e facendo molta attenzione il ronzio si trasforma in una magnifica sinfonia. Un’ode alla vita che ogni essere canta a suo modo.
Solo l’uomo, preso dai suoi piccoli problemi quotidiani, vi ha rinunciato da tempo. Sacrificando la sua vera natura sull’altare di un illusorio progresso.

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