Tor des Gèants

Corsa a piedi in ambiente naturale, che percorre i sentieri delle Alte Vie 1 e 2 della Valle d’Aosta con partenza ed arrivo a Courmayeur. Percorso di 356 km con dislivello positivo di circa 27390 metri, che attraversa il territorio di 34 comuni. La gara si svolge in una sola tappa, a velocità libera, in un tempo limitato, in regime di semi-autosufficienza (dal sito dell'organizzazione). 

Il Tor des Geants è ovviamente l’obiettivo della stagione, e ciascuno a proprio modo fa di tutto per arrivare opportunamente preparato a questo appuntamento. Personalmente ho dato la priorità al riposo muscolare negli ultimi due mesi, con pochissimo allenamento. La strategia che mi sono dato per la gara è molto semplice: seguire il mio ritmo senza “partire piano” (come mi consigliano quasi tutti) e senza forzare dove si può (come alcuni tratti porterebbero a fare). Riguardo al sonno, ho pianificato di dormire un’ora prima del tramonto e un’ora prima dell’alba a partire dalla seconda notte; strategia che sarà di difficile applicazione come mi renderò conto sulla mia pelle. Per quanto riguarda i tempi ho semplicemente suddiviso il percorso in tappe da percorrere ciascuna in 12 ore, per avere “strada facendo” una indicazione sul ritardo rispetto ad un ipotetico tempo finale di 100 ore.
La partenza è emozionante e allo stesso tempo travolgente, visto che tutti partono a bomba neanche fossimo alla cinque chilometri della sagra della panissetta. Non posso esimermi dal seguire la massa, ma appena il percorso inizia a salire regolo la velocità sul mio ritmo conservativo. Ero partito dalle prime posizioni sotto l’arco di partenza, ma lungo la salita al Col d'Arp (2571 m) mi supera chiunque. Solo un piccolo particolare: hanno tutti il fiatone. Nella discesa verso La Thuile lungo il vallone della Youla subisco ancora qualche sorpasso e passo al checkpoint attorno alla 350ma posizione. Sono circa le 15:30.Si riparte in direzione del rifugio Deffeyes (2500 m) e del secondo colle, il Passo Alto (2857 m). I sorpassi si diradano e si inizia a vedere qualcuno seduto sui massi lungo il percorso (e siamo solo a 20 km dalla partenza). Scolliniamo, scendiamo al bivacco Promoud per risalire al Col Crosatie (2829 m), una delle bestie sacre del Tor. Salgo veloce assieme a Luca, con cui condividerò molti chilometri di questo viaggio, e sorpassiamo molti concorrenti fino alla vetta. In discesa si forma un “trenino” di concorrenti che procede a buon ritmo, forse più lento di quanto avrei auspicato, ma decido di accodarmi e rilassarmi fino alla base vita.
Raggiungiamo la base vita di Valgrisenche (km 50) alle 23:30. Sono in anticipo di mezz’ora sulla tabella di marcia. Quindi me la prendo comoda: mangio, cambio le calze, faccio rifornimento e riparto. Si risale verso il rifugio Chalet de l'Epée e poi su fino al Col Fenetre (2854 m). La notte è tiepida, le gambe girano che è una meraviglia e continuo a superare gente. Arrivo a Rhemes Notre Dame poco prima delle 4; se non ricordo male ho dimezzato la mia posizione e sono attorno al 170mo. Sosta veloce e riparto in direzione dei due colli successivi, i più alti del Tor. Il Col d'Entrelor (3002 m) è quello che oggettivamente patisco maggiormente, ma l’alba a tremila metri vale la fatica.Si scende velocemente a Eaux Rousses, dove transito poco dopo le 8 del mattino, per risalire la “cima Coppi” del Tor: il Col Loson con i suoi 3299 metri. Scollino e raggiungo il rifugio Sella alle 13:30; sono in linea con la tabella di marcia delle 100 ore, ma non mi faccio illusioni.
Raggiungo la seconda base vita, quella di Cogne, poco dopo le 15. Mangio, mi cambio e decido di dormire un’ora, ma senza successo. Sono sostanzialmente tranquillo, ma evidentemente l’adrenalina è tanta e non riesco ad addormentarmi. Mi riposo comunque in branda per circa un’ora e riparto prima delle 17. Dopo il tramonto la carenza di sonno inizia a chiedere conto e quando raggiungo il rifugio Sogno di Berdzè, attorno alle 21, provo nuovamente a dormire. Altra ora persa in branda senza chiudere occhio. Non resta che ripartire: salita veloce alla Fenetre de Champorcher (2827 m) per scendere a Chardonney, dove giungo poco prima dell’una di notte. Sono in ritardo di poco meno di un’ora sulla tabella di marcia, ma siamo oltre il 130mo chilometro e va più che bene!
Da Chardonney si affronta il tratto oggettivamente più brutto di tutto il Tor. Ma questo passa il convento e alternative non ce ne sono. Poco prima delle 5 del mattino sono a Donnas: mangio, mi cambio e per la terza volta provo a dormire… senza esito. Poco lontano dalla mia branda, il mio amico Francesco dorme come se non ci fosse un domani: invidia!
Dopo una lauta colazione riparto: sono circa le 7 del mattino. La salita verso il colle successivo è a tratti molto ripida. Alternando sprazzi di lucidità e brillantezza a momenti di narcolessia arrivo al ristoro di La Sassa poco prima delle 11 del mattino. E’ il momento dell’aperitivo e mangio una quantità smisurata di mocetta. Poi torno a salire in direzione del rifugio Coda (2224 m); sulle ultime creste mi raggiunge Francesco: vola a torso nudo tra i massi. Quando finalmente raggiungo il rifugio lui riparte. Mangio con comodo e faccio il punto della situazione: sono a metà del Tor, in ritardo di due ore sulla tabella di marcia, ma sto bene e non ho nessun problema fisico… a parte l’insonnia. Problema che dovrò risolvere nelle prossime ore, prima che il conto da pagare diventi troppo salato. Nella discesa che segue mi fermo ad un ruscello e mi prendo cinque minuti per tenere i piedi a mollo nell'acqua ghiacciata. Mi sorpassa qualche concorrente, ma chi se ne frega. Mi fermo al ristoro non ufficiale che segue (acqua e menta!!), per raggiungere alle 16 il rifugio della Barma, dove mi concedo una birra oltre ad un piatto di pasta. Fa un caldo pazzesco a duemila metri per essere settembre: testa bassa e si va avanti.
I ristori successivi sono due chicche: al Lago Chiaro stanno cuocendo del prosciutto su una lastra di pietra: ne mangio una quantità spropositata. A pochi chilometri c’è il ristoro del Colle della Vecchia (2184 m), dove mangio una polenta concia che è qualcosa di epico. Nel frattempo giunge la sera e ripartiamo con la frontale accesa. Lungo la discesa i colpi di sonno si fanno frequenti, e quando raggiungo Niel chiedo di dormire un paio d’ore. Ma non c’è nulla da fare anche qui: ho sonno ma non riesco a chiudere occhio. Sono molto preoccupato, ovviamente non si può andare avanti così.
Riparto sconsolato dopo una lunga pausa e affronto il Col Lasoney (2364 m). Non incontro quasi nessuno e raggiungo la base vita di Gressoney poco dopo le tre del mattino. Il ritardo accumulato rispetto alla tabella è di circa tre ore: niente! Nella discesa mi accorgo che il gps si è spento: lo riavvio e accendo il telefono, che inizia a scaricare una montagna di messaggi di complimenti e incitamento.
La sosta a Gressoney sarà la chiave di volta di tutto il Tor. Sono deciso a risolvere il problema dell’insonnia, e mi gioco alcune carte che si riveleranno decisive. Faccio una lunga doccia calda, mi vesto e chiedo alla fisioterapista un massaggio. Le spiego che non ho nessun problema muscolare, ma che non riesco a dormire. Ebbene, appena inizia a sciogliermi i muscoli piombo in un sonno profondissimo. Dormo mezz'ora sul lettino, poi con molto garbo mi sveglia e mi consiglia di spostarmi nel dormitorio. Così faccio e dormirò un’altra ora. Non so come ti chiami, ma sappi che se ho finito al Tor lo devo anche a te, “fisioterapista di Gressoney”.
Quando riparto, alle sei e mezza, sono un’altra persona. Sono attorno alla 120ma posizione.Da Gressoney inizia il tratto a mio avviso più spettacolare di tutto il Tor, soprattutto se percorso all'alba: la salita al rifugio Alpenzu al cospetto del massiccio del Monte Rosa che si accende di colori sotto la luce del nuovo giorno è commovente. L'ora e mezza di sonno mi da una marcia in più e lungo la salita al Col Pinter (2776 m) supero un po’ di concorrenti. Francesco, che di ore ne ha dormite otto, mi supera sgommando. Alle 11:30 sono a Champoluc. Mangio, faccio rifornimento e riparto. Dopo pochi metri mi coglie un colpo di sonno che mi fa barcollare. Fortunatamente poco più avanti trovo una fontana e ci caccio sotto la testa. Scollino il Col di Nana (2770 m) e raggiungo allegro la base vita di Valtournenche alle 17. Il ritardo sulla tabella di marcia si è ora attestato a 5 ore e mancano circa 100 km al traguardo.
Riparto con Luca e Massimo dopo aver mangiato e fatto rifornimento. Al rifugio Barmasse convinciamo Francesco, spiaggiato su un divano, a ripartire con noi. Nel frattempo arriva la sera e porta con sé un temporale che ci coglie poco prima di Torgnon. I colpi di sonno si fanno frequenti e mantenere una direzione rettilinea è sempre più difficile. Nel cuore della notte raggiungiamo il rifugio Magià, dove dormiamo un paio d’ore il sonno dei giusti. Quando entro al rifugio sono 105mo; quando riparto due ore dopo sono 111mo. La scelta di fermarsi a dormire è stata senza dubbio intelligente e ci da una marcia in più per raggiungere il rifugio Cuney (2656 m), dove transitiamo alle 4:30. Ancora qualche saliscendi fino al bivacco Clermont (2705 m) dove mi concedo tanta mocetta e un microsonno di 10 minuti.
Segue la lunga discesa verso Oyace, che raggiungo alle 9; altrettante sono le ore di ritardo sulla tabella, ma ciò significherebbe chiudere il Tor in 109 ore, il che sarebbe un risultato straordinario per me.Sto molto bene e riparto deciso ma con passo tranquillo in direzione del colle successivo, il Col Brison (2492 m). Scollino e mi lancio verso l’ultima base vita, quella di Ollomont. Lungo la discesa sono costretto a raffreddare i piedi, che mi dolgono, in un rio. Nei tre chilometri di strada bianca che precedono la base vita provo a tirare, e volo letteralmente.
Alle 13:30 sono ad Ollomont. Me la prendo comoda, mangio, faccio rifornimento, riparto. Esco dalla base vita 91mo. E gongolo!Affronto la salita verso Col Champillon (2709 m) con molto brio, ma prima di scollinare mi concedo un microsonno di 10 minuti. Da questo punto in poi procederò spalla a spalla con Massimo, fino all’arrivo. Il tempo sembra volgere al brutto, ma incrociamo le dita.Il tratto fino a Bosses è una strada bianca sostanzialmente pianeggiante, con qualche lieve saliscendi. Si corricchia senza esagerare. A Bosses mangio e mi preoccupo di lubrificare i piedi con quello che trovo: burro!
Ripartiamo con la frontale accesa in direzione rifugio Frassati (2537 m). Dopo un primo tratto su poderali e sentieri facili, il percorso si inerpica attraversando pascoli e tratti di sentiero molto sconnesso. Lotto strenuamente contro il sonno e quando giungiamo al rifugio la prima cosa che faccio è sedermi, mettere la testa sul tavolo ed abbandonarmi ad un micro sonno di dieci minuti. Al risveglio non sono esattamente come nuovo ma ripartiamo di buona lena; è la mezzanotte di giovedì e la prossima vetta è il mitico Malatrà (2936 m).
Saliamo veloci con Massimo e una volta giunti alla famosa “finestra” ci abbracciamo: l’ultimo colle, l’ultima vera fatica del Tor! La discesa scorre veloce. Peccato per quella variante che taglia fuori il rifugio Bonatti: a me non piace per nulla. Il terreno è molto sconnesso e ad un certo punto le balise terminano nel nulla, divorate dalle mucche. Dobbiamo chiamare l’organizzazione per farci guidare e perdiamo un po’ di tempo. Poi la lunga balconata verso il rifugio Bertone e la ripida discesa verso Courmayeur.
Tagliamo il traguardo poco dopo le 5 del mattino, dopo 113 ore e 14 minuti di gara.
E’ il momento della gioia. Grande gioia.
Il momento dei bilanci arriverà.
W il TOR!

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